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L’esecuzione di Benito Mussolini

La morte di Benito Mussolini è da considerarsi come un punto davvero oscuro della storia italiana. Ad un processo, si preferì un’esecuzione e i cadaveri furono poi esposti alla furia della folla, animata da anni di sofferenze.

Il 28 aprile 1945, alle ore 16:10, alcuni partigiani si sostituirono ad un tribunale improvvisandosi plotone di esecuzione, assassinando Mussolini con un mitra e, infine, con un colpo di pistola al cuore.

La sua amante, Claretta Petacci, venne giustiziata a sua volta, colpevole, secondo le testimonianze, di essersi posta sulla traiettoria del mitra.

Non si riuscirà mai a definire la precisa dinamica dell’omicidio perché verranno formulate diverse teorie, mai confermate e mai smentite, dai protagonisti di quella giornata, alimentando così il mistero e impedendo un vero e proprio processo a seguito degli eventi. Anche l’ombra dello stupro sulla Petacci, motivato dall’assenza degli slip, non troverà mai seguito.

Alle 3:40 del 29 aprile, i cadaveri di Mussolini, della Petacci e di altri sedici giustiziati, giunsero a Piazzale Loreto. Non fu una scelta casuale: a Piazzale Loreto, il 10 agosto 1944, furono giustiziati quindici partigiani da un plotone fascista e poi lasciati una giornata intera sotto al sole cocente, coperti di mosche, senza che ai parenti fosse permesso di prelevare le salme o rendere loro il dovuto addio.

Fin dalle 7:00 di mattino, una sostanziosa folla di curiosi si era radunata intorno ai corpi per sfigurarli con calci, pugni, sputi e lanci di ortaggi. Una donna sparò cinque colpi al corpo del Duce per vendicare i cinque figli morti, mentre qualcuno orinò sul corpo della Petacci.

Alle 11:00 a causa della situazione divenuta ormai incontrollabile, venne chiamata una squadra di Vigili del Fuoco che prima lavò i corpi dal sangue, dagli sputi, dall’orina e dagli ortaggi, e poi issò per i piedi i sette cadaveri più noti alla pensilina di un distributore di carburante.

Alla Petacci, alla quale erano state sottratte le mutande, ci volle la mano pietosa di un prete, don Pollarolo, per fermare la gonna e far cessare le urla di scherno. 

I cadaveri vennero rimossi solo nel primo pomeriggio.

Persino durante l’autopsia non si mancò di deridere l’ex Duce.

Dopo le analisi furono infatti scattate numerose fotografie, sia mettendo macabramente in posa i cadaveri di Mussolini e della Petacci, sia dell’équipe forense a fianco del cadavere, oltre che immagini del cadavere svestito col torace ricucito a fine autopsia e infine dei corpi deposti entro le casse di legno usate come bare.

Si chiuse così, con lo scherno, lo sfregio e il vilipendio, il ventennio fascista.

Non restituì dignità e vita ai 15 partigiani uccisi, né ai milioni di soldati, bambini, uomini e donne morte gli anni rubati, non lenì il dolore di chi li pianse, non fu ricompensa alle atrocità subite, non ci rese uomini e donne migliori.

 

 

 

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